mercoledì 23 ottobre 2013

Per vivere occorre perdere il centro. Per non morire occorre ritrovarlo.


“Piccola morte”

di Simone Perotti


E’ difficile spiegare, come dice la canzone. Sei mesi lontano da casa, immerso nell’altra grande abitazione. Gran parte nel mio Paese, il mare, diviso in varie nazioni. Ho attraversato sei volte un confine, quella linea illusoria per recludere e proteggere chi non sa che è cittadino di se stesso.

Ho dormito in tanti letti, in treno, in aereo, su una barca, in case del passato, in case del futuro. Parlato, bisbigliato, sussurrato con centinaia di persone, lungo una via, intorno a un tavolo, muovendomi, in assoluta immobilità. Chi abita la sua vita è apolide, nomade. Si potrebbe tracciare una funzione matematica tra stanzialità e omologazione, o almeno la ripetizione degli stessi percorsi e l’alienazione. In questi sei mesi non ho mai fatto due volte lo stesso percorso. Dunque non sono mai tornato.

E’ difficile spiegare, tuttavia. Per vivere occorre perdere il centro. Per non morire occorre ritrovarlo. Nello spazio di nessuno, in mezzo, ci sono io. Ma non sono solo: chiunque non si stia lasciando vivere è lì. Vi regna la solitudine, dove non si è mai soli. Non chiedetemi come, perché non lo so così bene da poterlo spiegare. Certamente il tutto non si manifesta gratuitamente. Siete dotati di denaro esistenziale? Bene, preparatelo nella tasca, stringetelo già nel pugno, perché ogni tanto c’è un casello, bisogna pagare.

Sei mesi troppo lontano. Non ho ancora perduto tutte le cime, non mi posso permettere di navigare senza entrare mai in porto. Nell’abito ci si abita, appunto, e la consonanza non è occasionale. Non dice il Vangelo che quando Dio cacciò Adamo ed Eva diede loro abiti di pelle perché si coprissero? Non erano indumenti, erano i sacchi di pelle, i loro corpi. Loro erano anime, e per diventare umani avevano bisogno di zavorra che le corredasse. Abitare implica l’abito, come fuggire necessita di un nemico e tornare di una casa. In principio era il Logos, la parola, poi tutto si è confuso in una faccenda di involucri e giacigli. “La vita dà all’uomo strani compagni di letto” (Shakespeare).

Partite quando siete sicuri, ma proprio sicuri. Non è un tentativo di dissuasione, solo un avvertimento. Perdere la cella ha i suoi effetti collaterali. Qua fuori serve un cuore duro, perché ai nomadi capita di struggersi in cerca di compagnia. Che non c’è sempre, almeno non nel deserto frequentato dai nomadi. Liberi (lo si ricordi) non è solo una faccenda che ha a che fare con la perdita del capufficio, l’eccesso di ripetizione e la voglia di togliersi il peso dal cuore. Liberi è una malebenedetta avventura, dove talvolta non passano i treni, si finisce in luoghi impensabili e i conti non tornano. Liberi è laggiù, non qui. E’ dove neppure si pensa, oltre il confine, oltre l’ultima frontiera, senza casa, senza cose, abitando l’inospitale, ospitati da abiti che non conoscono alcun lucore dell’abitudine. Liberi è tanto, non pensateci con le categorie che avete ora. Però può somigliare a troppo, che ora non sapreste concepire. Ce la si fa, ma a volte somiglia alla “piccola morte”, quando il piacere e il dolore si mescolano e sembrano la stessa, unica, terribile, splendida cosa. Solo che non lo è.


http://www.simoneperotti.com/wp/2013/09/28/piccola-morte/


1 commento:

Unknown ha detto...

Bom Dia !


Não existe morte disse a lagarta para o casulo que por sua repetiu para borboleta que alçou voo além daquela minuscula folha que era a vida e o universo da lagarta.
A vida é um ciclo eterno de recomeço de portal em portal

JATeixeira
Non c'è morte disse il bruco a bozzolo
che in ripetute per farfalla
quel volo sollevato
oltre a questo foglio minuscolo che era la vita e il bruco universo.

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