lunedì 29 aprile 2013

La Coscienza Cristica - Paramahansa Yogananda


Il vero significato di “fede nel suo nome” e di salvezza

“Poiché Dio ha talmente amato il mondo che ha dato il Figlio suo unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Dio infatti non ha mandato il Figlio suo al mondo per condannare il mondo; ma affinché per mezzo suo il mondo si salvi. Chi in lui crede, non è condannato; ma chi non crede è stato già condannato; perché non crede nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E la condanna sta in questo: al mondo è venuta la luce, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce; perché le opere loro erano malvagie. Poiché chi fa male odia la luce, e non si accosta alla luce, perché non vengano biasimate le opere sue. Chi poi opera secondo la verità, si accosta alla luce, affinché si rendano manifeste le opere sue, perché sono fatte secondo Dio.”
(Giovanni; 3, 16-21)


La confusione tra “Figlio dell’uomo” e “Figlio unigenito di Dio” ha provocato un atteggiamento di estremo bigottismo in seno alla comunità cristiana tradizionalista. Quest’ultima infatti non comprende o non riconosce la componente umana di Gesù, cioè la sua natura di uomo: una creatura nata in un corpo mortale, la quale aveva fatto evolvere la propria coscienza fino a diventare una cosa sola con Dio stesso. Non Gesù in quanto individuo dotato di un corpo fisico, ma la coscienza racchiusa in quel corpo era una cosa sola con il Figlio unigenito, ovvero con la coscienza cristica, unico riflesso di Dio Padre nel creato. Nell’esortare l’umanità a credere nel Figlio unigenito, Gesù si riferiva a questa coscienza cristica, latente in ogni anima e pienamente manifesta in lui, come in tutti i maestri che nel corso dei secoli hanno realizzato Dio. Gesù ha detto che tutte le anime capaci di capaci di innalzare al cielo astrale la propria coscienza fisica (la coscienza del Figlio dell’uomo), e quindi di diventare una cosa sola con l’unigenita Intelligenza cristica immanente in tutta la creazione, conosceranno la vita eterna.

Questo passo della Bibbia sta forse a significare che tutti coloro che non credono in Gesù o non lo accettano come loro salvatore saranno condannati? Questo è un concetto dogmatico di condanna. In realtà, Gesù intendeva dire che chiunque non comprenda di essere una cosa sola con la coscienza cristica universale è condannato a vivere e a pensare come un essere mortale, tormentato dalle avversità, limitato dai confini sensoriali, perché ha essenzialmente disgiunto se stesso dall’eterno Principio della vita.

Gesù non si è mai riferito alla propria coscienza di Figlio dell’uomo, ovvero al proprio corpo, come all’unico salvatore di tutti i tempi. Abramo e molti altri furono salvati anche prima che Gesù nascesse. È un errore metafisico considerare il personaggio storico di Gesù come l’unico salvatore. Il redentore universale è l’intelligenza cristica. Quale unico riflesso dello Spirito assoluto (il Padre), onnipresente nel mondo della relatività, il Cristo infinito è l’unico intermediario, l’unico legame tra Dio e la materia. Tutti gli individui dotati di forma materiale (a qualsiasi casta o fede appartengano) devono ricorrere a questo intermediario per giungere a Dio. Entrando in sintonia con la coscienza cristica, ogni anima può liberare la propria coscienza dai suoi confini materiali e immergerla nella vastità dell’Onnipresenza.

Gesù ha detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono lui”. Egli sapeva che il suo corpo fisico era destinato a rimanere sul piano terreno solo per breve tempo; così spiego a coloro che lo consideravano il proprio salvatore che, una volta scomparso quel corpo (il Figlio dell’uomo) dalla terra, l’umanità sarebbe stata ancora in grado di trovare Dio e la salvezza, credendo nell’onnipresente figlio unigenito di Dio e conoscendolo. Gesù voleva mettere in risalto che chiunque avesse creduto nel suo spirito in quanto Cristo infinito incarnato in lui avrebbe scoperto il sentiero che porta alla vita eterna, grazie alla scienza della meditazione, che conduce a uno stato di interiorizzazione e di elevazione della coscienza.

“Affinché chiunque crede in lui non perisca”. Le forme della natura sono soggette al cambiamento, ma l’intelligenza infinita immanente nella natura non è mai toccata dalle mutazioni create dall’illusione. Un bambino che si è affezionato a un pupazzo di neve scoppierà in lacrime quando il sole salirà alto nel cielo e scioglierà quella forma. Allo stesso modo soffrono i figli di Dio affezionati al mutevole corpo umano, che subisce i cambiamenti dell’infanzia, della giovinezza, della vecchiaia e della morte. Ma coloro che interiorizzano la forza vitale e la coscienza e si concentrano sull’immortale scintilla interiore della propria anima percepiscono il cielo anche mentre si trovano su questa terra; e, realizzando l’essenza trascendente della vita, non sono soggetti al dolore e alla sofferenza inerenti ai cicli ricorrenti della vita e della morte.

Le solenni parole pronunciate da Gesù in questo passo del Vangelo intendevano comunicare un’incoraggiante promessa divina di redenzione per tutta l’umanità. Le interpretazioni errate che hanno dominato per secoli sono invece valse a fomentare guerre di odio intollerante, inquisizioni, torture, condanne, ripudi e divisioni.

“Dio infatti non ha mandato il Figlio suo al mondo per condannare il mondo, ma affinché per mezzo suo il mondo si salvi”. In questo versetto il “mondo” sta ad indicare l’intera creazione di Dio. Nel riflettere la sua intelligenza nel creato, rendendo così possibile l’esistenza di un universo ordinato e armonico, l’intento del Signore non era quello di creare una prigione di finitezza in cui confinare le anime e farle partecipare, volenti o nolenti, a una danse macabre di sofferenza e distruzione. Dio intendeva piuttosto rendersi accessibile come quella irresistibile Forza che spinge il mondo a superare la manifestazione materiale, immersa nelle tenebre dell’ignoranza, per giungere alla luce della manifestazione spirituale.

Indubbiamente, la manifestazione vibratoria dell’intelligenza universale, ovvero la creazione, ha dato origine alle innumerevoli attrazioni del teatro cosmico che continuano a confondere l’uomo, inducendolo ad allontanarsi dallo Spirito per volgersi verso la vita materiale, a distogliere lo sguardo dall’Amore universale per rivolgerlo alle infatuazioni umane. Tuttavia l’assoluto che trascende il creato resta vicino e intimamente percepibile attraverso il suo intermediario, l’intelligenza divina che si riflette nel creato stesso. Grazie a questo contatto, il devoto comprende che Dio ha mandato l’intelligenza cristica (il suo Figlio unigenito) per creare non una camera di tortura, ma un grandioso film cosmico, le cui scene e i cui attori sono destinati a intrattenere e intrattenersi per qualche tempo, e poi tornare infine alla beatitudine dello Spirito.

Alla luce di questa consapevolezza, il devoto, in qualunque circostanza lo ponga questo mondo della relatività, avverte il proprio legame con lo Spirito universale e comprende che l’immensa intelligenza dell’Assoluto opera in tutte le relatività della natura. Chiunque creda in questa intelligenza, cioè in Cristo, e si concentri su di essa piuttosto che sulle sue opere, ovvero sulla creazione esteriore, trova la redenzione.

È assurdo pensare che Dio infligga ai non credenti la condanna di peccatori. Poiché il Signore dimora Egli stesso in tutte le creature, la sua condanna sarebbe una forma di vero e proprio autolesionismo. Dio non punisce mai l’uomo che non crede in Lui; è l’uomo a punire se stesso. Se qualcuno non crede al potere di un generatore di corrente e tagli i fili elettrici che collegano la sua casa a quel generatore, egli si nega i vantaggi offerti dall’elettricità. Allo stesso modo, disconoscere l’Intelligenza onnipresente in tutto il creato vuol dire negare alla coscienza il suo legame con la Sorgente della saggezza e dell’amore divini, la quale consente il processo di ascensione allo Spirito.

Riconoscere l’immanenza divina è un processo che può cominciare in un modo molto semplice: lasciando che il nostro amore si espanda in flussi sempre più ampi. L’uomo si condanna alla limitazione ogni volta che pensa soltanto al suo piccolo sé, alla sua famiglia, alla sua nazione. Il processo di espansione è un elemento essenziale dell’evoluzione della natura e dell’uomo per ritornare a Dio. Essere consapevoli esclusivamente della propria famiglia – “noi quattro e nessun altro” – è una cosa sbagliata. Escludere la più grande famiglia dell’umanità vuol dire escludere il Cristo infinito. Chi separa la propria felicità e il proprio benessere da quelli altrui si è già condannato all’isolamento dallo Spirito che pervade tutte le anime. Infatti, non espandendo se stesso nell’amore e nel servizio reso a Dio negli altri, egli non riconosce il potere salvifico dell’unione con il Cristo universale. Ogni essere umano ha ricevuto il potere di fare il bene; se non usa questa facoltà, il suo livello di evoluzione spirituale è di poco superiore a quello dell’istintivo egoismo di un animale.

L’amore pure presente nei cuori umani irradia l’amore cristico universale. Espandere continuamente il proprio amore vuol dire mettere in sintonia la coscienza umana con il Figlio unigenito. L’amore per i familiari è il primo passo dell’espansione dell’amore di sé verso chi ci circonda; amare tutti gli esseri umani, di qualsiasi razza e nazionalità, è conoscere l’amore cristico.

Dio in quanto Cristo onnipresente è l’unico artefice di tutte le forme di vita. Nelle nuvole e nel cielo il Signore dipinge scenari grandiosi e sempre mutevoli; nei fiori crea altari di fragrante bellezza; in ogni cosa e persona (negli amici e nei nemici, nelle montagne, nelle foreste, nell’oceano, nell’aria e nella roteante volta galattica che sovrasta ogni cosa) il devoto cristico vede l’unica luce di Dio, in cui tutto si fonde. Egli si rende conto che le innumerevoli espressioni di quell’unica Luce, spesso apparentemente caotiche perché in conflitto o in contrasto tra loro, sono state create dall’intelligenza divina non per ingannare gli esseri umani o per farli soffrire, ma per persuaderli a cercare l’Infinito da cui provengono. Chi guarda non le parti ma l’insieme riconosce lo scopo della creazione, cioè l’ineluttabile destinazione di noi tutti, senza alcuna eccezione, verso la salvezza. Tutti i fiumi vanno verso l’oceano; i fiumi delle nostre vite vanno verso Dio.

Le onde che si trovano sulla superficie dell’oceano sono in continuo mutamento, mentre giocano con il vento e con le forze che regolano le maree; ma la loro essenza di oceano resta immutata. Chi si concentra sulla singola onda di un’unica vita è destinato a soffrire, perché l’onda è instabile e non può durare. Questo è ciò che Gesù intendeva con “condannato”: l’uomo che resta legato al corpo, isolandosi da Dio, causa la propria condanna. Per ottenere la salvezza egli deve riconquistare la consapevolezza della propria inscindibile unità con l’immanenza divina.

“Mentre veglio, mangio, lavoro, sogno, dormo,
servo, medito, canto e divinamente amo,
l’anima mia bisbiglia senza posa, non udita da alcuno:
Dio, Dio, Dio!”
(da “Songs of the Soul” di Paramahansa Yogananda)

In questo modo si mantiene la costante consapevolezza del proprio legame con l’immutabile intelligenza divina, la Bontà assoluta celata dietro gli enigmi del creato e le loro sfide.

“Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è stato già condannato”. Qui si mette in risalto anche quale ruolo svolga il “credere” nel provocare o meno la condanna dell’uomo. Chi non comprende che l’Assoluto è immanente nel mondo della relatività tende a diventare vuoi uno scettico vuoi un dogmatico, perché in entrambi i casi la religione è per lui una questione di fede cieca. Incapace di conciliare l’idea di un Dio buono con gli apparenti mali della creazione, lo scettico rifiuta le credenze religiose con la stessa testardaggine con cui il dogmatico vi resta aggrappato.

Le verità impartite da Gesù andavano ben oltre le credenze cieche, che acquistano o perdono valore sotto l’influenza dei paradossali proclami dei preti o dei cinici. Credere è uno stadio iniziale dell’evoluzione spirituale, necessario per accogliere l’idea di Dio. Ma quell’idea deve trasformarsi in una convinzione, deve diventare oggetto di esperienza. La credenza è la progenitrice della convinzione; per indagare in modo imparziale su qualcosa, è necessario prima accogliere l’idea che esista. Ma se ci si accontenta della mera credenza, questa diventa dogma, e quindi ristrettezza mentale, che preclude l’accesso alla verità e al progresso spirituale. È quindi necessario coltivare, nel terreno della credenza, la messe dell’esperienza diretta di Dio e del contatto con Lui. Questa inconfutabile realizzazione, non la mera credenza, è ciò che salva gli esseri umani.

Se qualcuno mi dice: “Io credo in Dio”, gli chiedo: “Perché credi? Come fai a sapere che c’è un Dio?”. Se la risposta si basa su supposizioni o su una conoscenza indiretta, concluderò che egli non crede veramente. Per avere una convinzione bisogna anche avere dei dati a sostegno; altrimenti si tratta solo di un dogma, che è facile preda dello scetticismo.

Se, poniamo, io indicassi un pianoforte e dichiarassi che si tratta di un elefante, la ragione di una persona dotata di intelligenza si ribellerebbe dinanzi a una simile assurdità. Lo stesso accade con i dogmi religiosi trasmessi senza la verifica dell’esperienza e della realizzazione: presto o tardi, quando saranno messi alla prova da esperienze contrarie, la loro verità subirà l’attacco della ragione e delle sue speculazioni. Via via che i brucianti raggi del sole dell’indagine raziocinante divengono sempre più infuocati, le fragili credenze prive di fondamento appassiscono e si inaridiscono, lasciando dietro di sé una landa desolata, in cui crescono solo il dubbio, l’agnosticismo e l’ateismo.

Trascendendo la mera indagine filosofica, la meditazione scientifica mette in sintonia la coscienza con la verità più alta e più grande; a ogni passo che compie, il devoto si avvicina alla vera realizzazione e si sottrae a un incerto vagabondare. Perseverare negli sforzi di verifica e di esperienza diretta delle credenze mediante la realizzazione intuitiva, raggiungibile grazie ai metodi yoga, vuol dire forgiare una vera vita spirituale, a prova di qualsiasi dubbio.

Credere è una grande forza, se porta al desiderio e alla determinazione di fare l’esperienza del Cristo. Questo è ciò che intendeva Gesù esortando a “credere nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”: per mezzo della meditazione, bisogna ritirare la coscienza e la forza vitale dai sensi e dalla materia, per avere l’intuizione dell’Aum, la Parola, ovvero l’Energia vibratoria cosmica che è il “nome”, cioè l’attiva manifestazione dell’immanente coscienza cristica. Una persona può affermare continuamente la propria credenza intellettuale in Gesù Cristo, ma se le manca l’autentica esperienza del Cristo cosmico, incarnato in Gesù e onnipresente al tempo stesso, la sola credenza avrà per lei una ben scarsa utilità spirituale, insufficiente a ottenere la salvezza.

Nessuno può ottenere la salvezza limitandosi a ripetere il nome del Signore o a lodarlo in sequele crescenti di “alleluia”. Non sono la fede cieca nel nome di Gesù né l’adorazione della sua persona a permettere di accogliere il potere salvifico dei suoi insegnamenti. La vera adorazione di Cristo consiste nella divina comunione, che porta alla percezione del Cristo nel tempio senza mura della coscienza in espansione.

Dio non si manifesterebbe nel suo “Figlio unigenito” nel mondo per poi farlo agire come un implacabile investigatore che insegue i non credenti per punirli. L’intelligenza cristica redentrice, che alberga in seno a ogni anima indipendentemente dal bagaglio di peccati o di virtù accumulato nelle sue incarnazioni, attende con pazienza infinita che nella meditazione ciascuno si risvegli dal sonno narcotizzante dell’illusione per ricevere la grazia della salvezza. Chi crede in questa intelligenza cristica, e inoltre coltiva con l’azione spirituale il desiderio di ricercare la salvezza ascendendo a questa coscienza riflessa di Dio, non è più costretto a vagare alla cieca lungo l’ingannevole sentiero dell’errore. Con passi ponderati, egli si dirige sicuro verso l’infinita Grazia redentrice. Ma il non credente che irride il pensiero di questo Salvatore, unica via verso la salvezza, condanna se stesso all’ignoranza della prigionia nel corpo e alle sue conseguenze, finché non raggiungerà il risveglio spirituale.


– da “Lo Yoga di Gesù” di Paramahansa Yogananda




COSCIENZA CRISTICA: La coscienza di Dio proiettata nella creazione e immanente in essa. Nelle sacre scritture cristiane è il “figlio unigenito”, l’unico puro riflesso di Dio Padre nella creazione; in quelle induiste la coscienza cristica è chiamata “kutastha chaitanya” o “Tat”, la coscienza universale, ovvero l’intelligenza cosmica dello Spirito onnipresente nella creazione. (I termini “coscienza cristica” e “intelligenza cristica” sono sinonimi, come lo sono anche “Cristo cosmico” e “Cristo infinito”). È la coscienza universale, l’unione con Dio, manifestata da Gesù, Krishna e altri avatar. I grandi santi e i grandi yogi la conoscono come “samadhi”, lo stato meditativo in cui la loro coscienza diviene una cosa sola con l’intelligenza divina immanente in ogni particella del creato; allora essi percepiscono l’intero universo come fosse il proprio corpo.


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